AFFITTI BREVI E CRISI ABITATIVA

Mercoledì, Marzo 12, 2025

Affitti che non ci sono, centri storici presi d’assalto dai turisti, canoni di locazione proibitivi. Da nord a sud del Paese, le principali città sono tutte interessate da una delle più forti crisi abitative degli ultimi decenni. La mancanza di una normativa chiara e la latitanza della politica hanno fatto sì che l’overtourism e gli affitti brevi accelerassero il processo di gentrificazione già in atto. Così i centri storici assomigliano sempre più a parchi giochi per turisti o enclavi dorate con fossati difficili da attraversare che separano le classi sociali, mentre i residenti sono spinti in una periferia sempre più lontana e impoverita

 

Quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi tempi è un fenomeno che arriva da lontano. Di gentrificazione si inizia a parlare già negli anni ‘60, quando boom economico e opere di riqualificazione urbana guidarono il progressivo svuotamento dei centri storici dalla quota residenziale di abitanti appartenenti ai ceti popolari, soppiantati dalla classe media. Interi quartieri in tutta Italia si sono trasformati, o meglio riconvertiti in una popolazione più istruita e ricca. In certi contesti questo cambiamento era accompagnato da iniziative di edilizia privata e pubblica, in altri casi da nuove dinamiche di mercato.

Questa dinamica con temporalità diverse, ha continuato a colpire gli altri ceti sociali a salire. Oggi tocca alle classi medie ed è un meccanismo inesorabile, in quanto non c'è un freno possibile all’investimento economico. Inoltre, nelle aree centrali non ci sono attività economiche che trattengano le persone, quindi continuano a guadagnare di valore diventando di fatto un luogo di affari per imprese o cittadini ricchi

 

Negli ultimi vent’anni, dopo un periodo di stasi, il dibattito sulla gentrificazione è tornato alla ribalta trainato da due trasformazioni. La prima è la finanziarizzazione dell’immobiliare attraverso il meccanismo dell’indebitamento (tra cui i mutui) che ha trasformato le città in casseforti e attirato investimenti che prima degli anni ‘90 erano molto limitati. Così l’abitazione, da casa si è trasformata in investimento. La seconda trasformazione è la digitalizzazione delle piattaforme che alimenta e segue l’esplosione dei dati mondiali sui flussi turistici.

 

Nella letteratura scientifica si parla di una quinta ondata di gentrification alimentata dal turismo che è cresciuto e continuerà a farlo nei prossimi decenni alimentato dall’aumento della popolazione benestante del pianeta. Sono numeri impressionanti, ma lo spazio della città rimane quello. Dinamiche che hanno ingolosito, non solo il singolo proprietario di casa, ma anche grossi investitori internazionali. Insomma, quest’aumento ha allargato la platea di quelli che hanno investito, anche in termini industriali, in città e questo ha ulteriormente velocizzato la trasformazione dei centri storici in enormi distese di b&b, pizzerie al taglio e camere d’albergo”.

 

Ma perché i proprietari prediligono gli affitti a breve termine? "I proprietari non prediligono gli affitti 4+4 per molti motivi in primis il tasso di insolvenza che è pari a circa il 24%. Questo vuol dire che 1 persona su 4 non paga regolarmente il canone. È un valore enorme. Inoltre, bisogna tenere conto che chi eredita una casa in centro di norma ha già una sua abitazione e conta sul reddito aggiuntivo. Quando si è in presenza di un insolvente si pagano le imposte sui canoni non percepiti e in più si pagano tutte le utenze[...] Per una famiglia che affitta una casa pensando di incassare 9,5mila euro netti, pagarne invece 6,5mila diventa insostenibile e quindi chiunque incorra in un problema di insolvenza e si scontra contro i 24 mesi che ci vogliono in media a liberare la casa (senza recuperare gli arretrati) non tornerà più agli affitti lunghi. Infatti, in media i centri storici delle città italiane hanno circa un 15% di sfitto e il totale delle case vuote in Italia è di 9,6milioni su 35,2milioni di abitazioni".

 

Ma non solo centri storici. In alcune città come ad esempio Roma, gli affitti brevi hanno trasformato luoghi non tradizionalmente centrali in aree di interesse, con aumenti dei canoni di locazione a lungo termine a due cifre e una riduzione sostanziale delle abitazioni sul mercato. A livello nazionale, nell’ultimo anno gli affitti sono aumentati del 10,3%, ma se si va indietro fino al 2020 l’aumento è 5 volte tanto (dati Idealista

“Questo fenomeno aumenta i differenziali sia nei canoni di locazione sia nella compravendita tra centro e periferia, e quindi contribuisce alla polarizzazione delle disuguaglianze da un punto di vista spaziale, con processi pesanti di espulsione e di marginalizzazione di famiglie non solo a basso, ma anche a medio reddito in particolare quelle più giovani alle quali d’altronde è ormai precluso l’accesso alla casa di proprietà”.

 

I giovani sono infatti tra i più colpiti in quanto categoria d’elezione che tradizionalmente si rivolge al mercato degli affitti sia per l’instabilità insita nei percorsi di formazione, sia a causa della precarizzazione del lavoro. A questo deve sommarsi l’interruzione del processo di trasmissione intergenerazionale dei patrimoni che, sempre più concentrati nelle mani di pochi, contribuiscono all’impoverimento della classe media.

 

“Questa polarizzazione è pericolosa perché interrompe completamente l’ascensore sociale. L’espressione spaziale delle disuguaglianze è devastante perché più la segregazione e quindi l’omogeneità sociale delle zone è forte, minore è mobilità sociale per meccanismi che hanno a che fare con il capitale sociale e il capitale relazionale”.

 

Le locazioni brevi vanno a pesare su un mercato già problematico come quello degli affitti. In un paese in cui circa il 77% (dato Confedilizia) delle famiglie è proprietario della casa in cui risiede, il numero delle abitazioni destinate all’affitto è molto limitato. A questo vanno quindi detratti gli immobili destinati a locazioni brevi (da 1 a 30 giorni) e di medio periodo (da 1 a 18 mesi) che di fatto escludono i residenti, mentre sono più convenienti per i proprietari grazie a regimi fiscali agevolati. A impoverire il parco degli immobili destinati agli affitti sono anche le abitazioni sfitte o vuote che coprono circa il30% (7 milioni, dati Istat) delle case censite nel Paese. Tenendo conto di tutti questi fattori, non sorprende come in alcune città, al di là dei prezzi in crescita, il problema risieda nella mancanza stessa di immobili destinati alla locazione di lungo periodo.“Il trend demografico italiano è devastante ogni anno muoiono circa 700mila persone e ne nascono circa 370mila. Si svuotano oltre 250mila abitazioni e solo una piccola parte di queste viene affittata subito. Di fatto il numero di case che si svuota in Italia è enormemente più alto di quelle che ogni anno vengono destinate agli affitti brevi (a dicembre 2023 le case online erano 483mila, a dicembre 2024 erano 497mila quindi 14mila annunci in più a fronte di 250mila case vuote)”*.E questa crisi abitativa si rispecchia anche nell’andamento anomalo dei valori di compravendita e locazioni, il primo in calo e il secondo in aumento, mentre di norma i due valori seguono un percorso omogeneo.

 

Oggi la strategia proposta per risolvere l’emergenza è quella di costruire case, ma è un enorme errore perché quello a cui assistiamo èun mercato figlio di un passato in cui si è costruito in modo forsennato proprio per nascondere sotto il tappeto la crisi abitativa

 

l tentativo di riparare al problema delle abitazioni alimentando il mercato dei privati è testimoniato anche dai numeri dell’edilizia popolare statale rispetto ad altri paesi europei. L’edilizia pubblica residenziale in Italia si attesta tra valori che oscillano tra il 3 e il 4%, mentre in Europa si va dal 10 al 50%, quote che rispecchiano scelte politiche presenti e passate e che incidono sulla capacità di accedere ad un’abitazione anche per le fasce più deboli della società. “È stata una scelta bipartisan e guardando a tutti gli investimenti degli ultimi anni in tematiche abitative, si tratta di finanziamenti pubblici che sono andati a sostegno del comparto privato”

 

Così ad alimentare la gentrificazione delle grandi città ha contribuito anche l’assenza dell’attore pubblico che “ha abdicato ormai da più di trent’anni al proprio ruolo di regolatore del mercato diventando semplicemente un facilitatore di processi di mercato, senza nemmeno troppi sensi di colpa”.

Con la scomparsa dei residenti dal centro e l’inasprirsi della polarizzazione delle classi sociali, le città corrono un doppio pericolo. Il primo è l’erosione del tessuto sociale attraverso l’inasprimento delle divisioni e delle disuguaglianze. “Questa divisione crea nelle città un doppio fossato: uno economico per chi sta in periferia e vorrebbe tornare verso le aree centrali ormai però troppo care o anche meno interessanti, perché svuotate di servizi. E uno culturale nell’altra direzione, cioè le zone più ricche della città guardano alle periferie come territori di scarico, dove si ammassano tutte le vulnerabilità, e le etichettano come ghetti”. Il risultato è una città più statica, irregimentata, ma anche più noiosa per chi la abita.La divisione delle città in classi sociali spinta dalla gentrificazione delle principali città, come detto in precedenza ha cambiato il volto dei principali centri. Per questo, “le case online sono troppo poche e troppo concentrate nel pieno centro delle città per avere un vero impatto sul numero di abitazioni sottratte al mercato degli affitti lunghi. A Milano sono lo 0,8% del totale, a Roma l'1%, a Venezia il 2,4%, a Firenze che è la città con il tasso più alto si arriva al 3%. Il centro delle città non è mai stato il luogo in cui venivano dati alloggi a prezzi accessibili alle famiglie bisognose. Una parte importante di questi alloggi arriva dalla riconversione di uffici che con lo smart working non sono più attraenti per gli investitori”.

 

Come per una legge del contrappasso, le grandi città che esercitano una forte attrattiva turistica e imprenditoriale, rischiano di restare vittime del loro successo. Milano è l’esempio di un modello di sviluppo economico sempre più orientato verso settori di alto consumo che rispetto a quello industriale dà alle città un ruolo di primo piano attraendo giovani e professionisti altamente qualificati. “Finora queste città hanno visto il lato positivo di questo processo che però contribuisce ad aumentare il costo della vita producendo un cortocircuito: sono incredibilmente attrattive dal punto di vista economico e occupazionale, ma diventano sempre più selettive dal punto di vista sociale”.

 

Questo ha degli effetti molto specifici anche in termini economici. E le città turistiche sono ulteriormente colpite da un progressivo orientamento della base economica verso settori a basso valore aggiunto, a bassa produttività e bassi salari.

 

Il problema sociale creato da overtourism, affitti brevi e dalla mancanza di politiche pubbliche a sostegno dei residenti sta ampliando la forbice delle disuguaglianze. Anche il modello di sharing economy, ossia dell’economia della condivisione, nel settore immobiliare si è rivelato molto sbilanciato. Sebbene sia innegabile che gli affitti brevi abbiano aiutato alcuni a “far quadrare i conti”, dall’altra la distribuzione dei profitti si è concentrata sulle fasce della popolazione più abbienti.

 

E’ vero che c’è una distesa di tanti piccoli proprietari che affitta stanze e appartamenti e ne trae beneficio, però c’è una differenza impressionante tra quello che guadagnano loro rispetto ai grandi proprietari”.

 

Quindi cosa fare? In Italia ancora non esiste una legge che regoli afflussi turistici e overtourism. In ritardo rispetto a molte altre città europee e statunitensi, finora l’unico passo compiuto a livello nazionale è stato l’introduzione del Cin, un registro per i proprietari di immobili adibiti ad affitti brevi. Una mossa che rischia di riconoscere formalmente il fenomeno dandogli quindi dei contorni, senza però limitarlo o arginarlo.

In Europa alcuni hanno preferito un approccio zonale, cercando di limitare gli affitti brevi nelle aree di maggior interesse turistico, altri hanno imposto dei limiti al numero di notti o di appartamenti che si possono inserire nel mercato per evitare la “professionalizzazione” delle locazioni brevi. A chiedere delle norme sono le stesse piattaforme: “Sosteniamo la richiesta di un quadro normativo nazionale per gli affitti brevi basato su dati, che permetta di preservare i quartieri sensibili, tutelando al contempo il diritto delle famiglie di affittare occasionalmente la propria abitazione

La domanda ora è se in questo momento storico l’interesse che dobbiamo tutelare è quello dei proprietari di casa a cui va garantito il diritto assoluto di disporre della propria proprietà, oppure il diritto di quelle famiglie che sono escluse dalla proprietà per consentire loro di accedere al mercato degli affitti? Il problema è che, dal punto di vista politico, un Paese in cui il 70-80% delle famiglie è proprietaria di casa, gli interessi dei proprietari sono ai fini elettorali più convenienti e molto ben rappresentati”.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti [cfr. artt. 44, 47 c. 2].

 

Oltre a regolare gli affitti brevi e gli afflussi turistici, è necessario che si torni a tutelare il diritto di abitare. Se non si corre ai ripari, le città diventeranno sempre più la casa di una società divisa e polarizzata. Non luoghi in cui le periferie dovranno sostenere una pressione crescente senza avere la struttura per farlo. E questo minerà la possibilità di esercitare diritti fondamentali legati all’istruzione, alla formazione e all’accesso ai servizi pubblici. Città costituite da ghetti sia per ricchi che per meno abbienti, dove per incontrarsi sarà necessario saltare “fossati” sociali. Città casseforti che rischiano di sacrificare la loro linfa vitale al profitto di pochi

 

I L C A S O M I L A N O

181 € Tariffa media a notte

274.500.000 ricavo annuo

11.584 ricavo medio annuo per alloggio

Milano, la città più cara d’Italia

Diversa dalle altre città prese in considerazione, Milano non si sta spopolando, anzi i residenti continuano a crescere anche nelle aree dove gli affitti brevi hanno la stessa incidenza. Quello che però colpisce è l’aumento vertiginoso degli affitti che nel centro in soli 4 anni sono aumentati del40,8% arrivando a toccare i 35,2 euro a m2.Il forte richiamo economico e finanziario sta portando al progressivo allontanamento della classe media dalle aree di interesse soppiantate da fasce sempre più ricche della popolazione. “C'è sempre una domanda di abitanti o di investitori che vuole valorizzare il proprio denaro e che se Milano cresce tantissimo, investirà su Milano per mettere in cassaforte i propri soldi", affermaGiovanni Semi, docente di Sociologia delle culture urbane ed esperto di gentrificazione dell’Università di Torino

Milano ha vinto la partita dello sviluppo economico e sta crescendo a doppia cifra da vent'anni, per questo la sua crisi abitativa più che dai flussi turistici è determinata dall’aumento vertiginoso del costo della vita che si ripercuote sulle abitazioni. La mancanza di una ridistribuzione equa della ricchezza sta spingendo la classe media sempre più verso la periferia che però non è pronta ad accogliere flussi consistenti dei nuovi residenti.Per città come Milano Filippo Celata parla di cortocircuito. “Questi luoghi - spiega il docente di Geografia economica, Sviluppo locale e Analisi dei dati spaziali dell’Università La Sapienza di Roma – sono incredibilmente attrattivi dal punto di vista economico e occupazionale, ma la loro capacità attrattiva agisce sempre più in termini selettivi dal punto di vista sociale”. Questo vuol dire che può viverci solo chi dispone di un reddito alto e di un’alta qualifica, col risultato di un ingente aumento del costo della vita. Le possibilità lavorative offerte da Milano, quindi, saranno destinate sempre di più alle persone ad alto reddito.

I L  C A S O  T O R I N O

Torino, aumento nella città che vuole restare umana 

Il capoluogo piemontese continua a registrare aumenti record per gli affitti (+53% in centro rispetto al 2020), soprattutto nel centro storico. Ancora lontana dai costi proibitivi della vicina Milano, Torino deve fare i conti con un mercato immobiliare in crescita e una limitata offerta di locazioni a lungo termine.

Torino- spiega il prof.Giovanni Semi, docente di Sociologia delle culture urbane ed esperto di gentrificazione dell’Università di Torino -aveva puntato molto, se non tutto, sulla riconversione industriale per cercare di diventare quasi come Milano. Ma ha perso la sfida” perché la città non attrae giovani, come invece è riuscito a fare il capoluogo lombardo.Negli ultimi tempi si discute molto del tema degli immobili non occupati. Il numero non ben definito (si va dai 22 ai 78mila) ha portato alla richiesta di un nuovo censimento delle abitazioni, ma anche ad alcune proposte. La campagna di iniziativa popolare Vuoti a rendere, a cui hanno aderito enti privati e non solo, spinge perché l’amministrazione comunale introduca una sanzione per i grandi proprietari (privati o pubblici con almeno 5 alloggi inabitati) che continuano a tenere sfitte le proprietà. Nei casi estremi (come far fronte a situazioni di emergenza abitativa) vorrebbe che fosse prevista la requisizione (come regola l’articolo. 835 del Codice civile). Una richiesta fortemente contrastata dai proprietari, ma che restituisce il clima di tensione sociale intorno al tema casa in una città che, solo nel 2023, ha visto circa 1400 persone sfrattate per morosità

L’OPINIONE DEI GESTORI AIRBNB

Come è cambiato il mercato degli affitti brevi negli ultimi 10 anni?In Italia il turismo in casa ha una forte tradizione, basti pensare alla ‘villeggiatura’ al mare o in montagna, che è parte del vissuto culturale del paese. Tra il 2015 e il 2019 il fenomeno è diventato popolare anche nelle città d’arte, prima che il Covid costringesse l’intero settore turistico ad una battuta d’arresto che ha interessato gli affitti brevi soprattutto nelle aree urbane spingendo in direzione di una maggiore dispersione dei flussi. Oggi vediamo una situazione abbastanza equilibrata: già nel 2023 il 55% dei viaggiatori che ha soggiornato in case vacanza lo ha fatto al di fuori delle grandi città. Si tratta di un trend in crescita; inoltre, i pernottamenti brevi in località rurali sono raddoppiati dal 2020. Per il 2025 ci aspettiamo un consolidarsi della tendenza alla diversificazione dei flussi in contemporanea con un turismo sostenibile e lento.

L’impatto economico degli affitti brevi: quali i lati positivi e quali quelli negativi?Secondo lo studio Nomisma “Housing in Italia e il ruolo delle locazioni brevi” [redatto per Airbnb,ndr], l’ospitalità in casa su Airbnb ha generato benefici economici per 7,9 miliardi di euro e supportato oltre 54.000 posti di lavoro nel 2023. Inoltre, l’host tipico ha guadagnato nel 2023 3.800 euro, questo ha creato un importante contributo economico per le famiglie italiane.

Ricerche universitarie e reti di cittadini denunciano la diffusione degli affitti brevi come causa di affitti “drogati” nelle zone ad alta richiesta turistica a causa dell’aumento di appartamenti e stanze dedicate. Come rispondete a questo?Crediamo che il numero delle case disponibili sulla piattaforma non sia tale da avere un impatto significativo sul mercato immobiliare. Stiamo parlando di pochi punti percentuali rispetto all’intero patrimonio immobiliare privato. Secondo lo studio di Nomisma, la penetrazione delle locazioni brevi in Italia rappresenta solo l’1,3% del totale delle case disponibili, mentre gli immobili inutilizzati o sottoutilizzati sono dieci volte tanto. Chiaramente in alcuni centri storici di città ad alta vocazione turistica la situazione è più delicata e bisogna creare un equilibrio tra i bisogni dei residenti e dei viaggiatori. Auspichiamo che venga introdotta una legge quadro nazionale che permetta alle città d’arte di applicare regole proporzionate e mirate, laddove vi sia una chiara necessità, tutelando al contempo il diritto delle famiglie di affittare occasionalmente la propria abitazione. Le misure eccessivamente punitive adottate da città come New York o Barcellona non hanno infatti risolto i problemi abitativi locali. Dall’inizio della stretta di Barcellona sugli affitti brevi, gli affitti sono aumentati del 70%, mentre il prezzo medio di una casa è aumentato del 60%. Per quanto riguarda New York, si credeva che la messa al bando di Airbnb avrebbe sbloccato il problema degli alloggi. Invece, il costo degli affitti è aumentato del 3,4% nei primi 11 mesi dall’applicazione della legge, indicando che altre cause stanno facendo salire i prezzi degli affitti. Infatti, nell'ultimo anno, il prezzo medio richiesto per un affitto nel centro di Manhattan ha raggiunto un picco di 5.000 dollari per la prima volta nella storia. Siamo quindi favorevoli a norme volte a proteggere le città storiche, attraverso regole basate sui dati e riviste periodicamente sulla base dell’evoluzione degli stessi.

Molti movimenti per la casa di fatto considerano la diffusione degli Airbnb una causa diretta dell'emergenza abitativa. Cosa ne pensate?La crisi abitativa, soprattutto in alcuni centri storici, viene da lontano. Uno studio Nomisma ha mostrato di recente come quasi il 13% delle abitazioni italiane risulti vuoto oppure sottoutilizzato, un fenomeno cominciato ben prima che gli affitti brevi divenissero popolari. Il dato resta ancora ad oggi significativamente più ampio della quota di immobili attualmente destinata agli affitti brevi, soprattutto di quelli interamente dedicati a questa attività e affittati per oltre 120 notti l’anno (0,11%). Riconosciamo però le sfide legate al sovraffollamento turistico nei quartieri storici di città d’arte, e sosteniamo la richiesta di un quadro normativo nazionale per gli affitti brevi basato su dati, che permetta di preservare i quartieri sensibili, tutelando al contempo il diritto delle famiglie di affittare occasionalmente la propria abitazione.

Dal vostro punto di vista come si può conciliare il diritto dei proprietari di case di metterle sul mercato come locazioni brevi e l'esigenza di residenti e fuori sede di trovare appartamenti in affitto e di trovarli a prezzi abbordabili?Il fenomeno è complesso e non c’è una soluzione semplice. I proprietari non affittano a lungo per molteplici ragioni. Secondo lo studio di Nomisma, la grande maggioranza degli host preferisce gli affitti brevi rispetto alla locazione tradizionale per la maggiore flessibilità, per evitare rischi di arretrati nei pagamenti e per esperienze passate negative con gli affittuari. Spesso non si è alla ricerca di un maggiore rendimento; c’è per esempio chi usufruisce per parte dell’anno dell’alloggio, chi ha in programma di destinarlo ad un figlio nel prossimo futuro. Nel cercare di trovare un punto di equilibrio fra le esigenze di residenti e visitatori, crediamo sia fondamentale difendere il diritto di affittare liberamente un immobile per proprietario oltre che le stanze condivise, disciplinando invece in modo più stringente chi specula su questa attività affittando tantissimi appartamenti e a volte interi condomini. Per la maggior parte degli host Airbnb, non è l’home sharing la fonte di reddito principale, quanto piuttosto un’integrazione del reddito.